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Il tartufo ottenne la consacrazione gastronomica vincendo,
nel IV secolo a.c., il primo premio di un concorso ad Atene
con il piatto "Pasticcio Tartufato alla Chiromene". Keripe
conquistò onore e fama per la sua capacità di cucinare i
tartufi e per aver introdotto nuove ricette.
Da cibo per ricchi, in breve il tartufo divenne
anche oggetto di studio; il primo studioso che se ne occupò fu
Teofrasto, filosofo greco, discepolo di Aristotele, che morì nel
287 a.c., che lo considerava una pianta priva di radici circondata
dalla terra, senza nessun filamento, prodotto dall' unione
della pioggia con il tuono nelle grigie giornate autunnali.
Plutarco aggiunge alla teoria di Teosfrato, il calore, così da
ritenere che il tartufo fosse il prodotto dell'acqua, della
folgore e del calore uniti insieme.
Nell' Impero Romano ebbe grande considerazione,
al punto che, per es. Nerone, lo considerava cibo degli Dei.
I tartufi che facevano impazzire i romani erano le Terfezie
e le Tirmanie della Cirenaica ( Libia ); Plinio il vecchio,
nella sua "Naturalis Historia", ci informa che la patria
dei prelibati tartufi è la "laudatissima Africa" dove cresceva
la Terfezia prodotta copiosamente anche nei territori limitrofi
a Damasco. I tartufi che deliziavano i palati dei patrizi
romani erano scadenti solo nella qualità, perchè già da allora
il prezzo era salatissimo, tanto che Apicio, nel suo "De
re coquinaria", inserisce le sei ricette al tartufo nel VII
libro, dove vengono trattate le pietanze più costose. Lucullo
lo definisce "il tocco poetico dei suoi squisiti pranzi" e
Giovenale se ne infatuò a tal punto che giunse ad affermare
che "era preferibile che mancasse il grano piuttosto che
i tartufi".
Per tutto il Medio Evo il tubero fù ignorato
e rimase il cibo di orsi, lupi, volpi, tassi, maiali, cinghiali,
per poi essere riscoperto nel Rinascimento sulle mense dei
signori francesi del XIV-XV secolo, mentre in Italia stava
affermandosi il tartufo bianco pregiato ( Magnatum Pico ).
Il bianco e il nero pregiato, nonostante la loro evidente
superiorità, rispetto agli altri tartufi, impiegarono più di
tre secoli per avere il sopravvento. La prima opera organica
sui tartufi fu merito di un naturalista dell'orto botanico
dell'università di Pavia, Carlo Vittadini che, nel 1831 pubblicò a
Milano, la Monographia Tuberacearum in cui descrisse 51 specie
di tartufi. Questa è l'opera che ha posto le basi dell'idnologia,
mettendo ordine nella materia e offredo lo spunto per ulteriori
studi.
Nel 1862 Tulasne pubblicò a Parigi "Funghi Hipogae" in
cui si parla della struttura del tartufo e di come si riproduca;
il Gibellini,nel 1876 , scoprì che il micelio del tartufo,
che avvolge gli apici radicali delle piante con cui vive
in simbiosi, svolge le funzioni di peli radicali, Chatin
nel 1892 pubblica a Parigi "La Truffe" e scopre che i tartufi
neri prediligono i terreni del mezosoico, in particolare
del giurassico, mentre i tartufi bianchi prediligono i terreni
del cenozoico e che il loro sapore dipenda sia dalla qualità del
terreno, sia dalla pianta con cui vive in simbiosi.
• Curiosità
Galeno riteneva che il mangiare tartufi fosse una cosa lodevole,
se finalizzato a una coniugale procreazione, ma detestabile
nel caso che il fine fosse lussurioso; la supposizione
si rafforzò a tal punto che, in tempi meno remoti, Brillant-Savarin
affermava che i tartufi rendono le donne più tenere e gli
uomini più amabili.
Prunier de Longchamps pensava che il potere eccitante
dei tartufi dipendesse dai sali alcalini volatili che i tartufi
possedevano e pensò bene di sconsigliarli al clero e a tutti
coloro che vivono in castità, perché fortemente eccitanti.
Recentemente Claus e Hoppen, entrambi dell'Università di
Monaco di Baviera e Karg, dell' università di Lubecca, sono
arrivati alla conclusione che i tartufi contengono uno steroide,
prodotto in natura dai verri e dagli uomini, quando corteggiano
le femmine e ciò spiegherebbero la fama di "afrodisiaco" posseduta
dal tartufo.
Tra i Tartufi il peso massimo è per eccellenza è il
Pachyma, che vive in Brasile e nella Guyana, che può arrivare
a un peso di oltre 20 Kg. Questo pachiderma ha un solo difetto: è immangiabile
!
Il più grosso tubero, buono a mangiarsi di cui
si ha notizia, è stato trovato ad Acqualagna da Filippo Cortesi
di Bologna, nel 1668, il suo peso era di 75 libbre (25 Kg.),
venne regalato al cardinale Cesare Rasponi e da questi al
cardinale Flavio Ghigi (nipote di Papa Alessandro VII). Il
Cortesi fu fortunatissimo infatti, oltre al quel colossale
tartufo, sempre nello stesso periodo e nelle stesse zone,
ne trovò uno più piccolo di sole 40 libbre (13 Kg.).
In tempi più recenti il record appartiene ad
un Tuber Magnatum Pico di Kg. 2,520, trovato a S.Miniato,
che venne regalato da Giacomo Morra, commerciante di Alba,
al Presidente degli USA Truman nel 1954. Il tartufo nero
(Tuber Melanosporum) più grosso fu trovato il 26 gennaio
1984 da Basili Giuseppe, al Furlo di Aqualagna, che raggiunse
il peso di Kg. 1,380. |